COP29: un compromesso che non basta
La COP29 di Baku si conclude con un accordo dal sapore amaro: il compromesso sugli aiuti climatici e il mercato globale del carbonio rappresenta un passo avanti, ma il cammino verso un’effettiva giustizia climatica appare ancora lungo e accidentato. Dopo giorni di negoziati serrati, che hanno spinto i lavori oltre la scadenza programmata, i Paesi avanzati hanno accettato di aumentare gli aiuti annuali per il clima ai Paesi in via di sviluppo a 300 miliardi di dollari entro il 2035. È un impegno triplicato rispetto agli attuali 100 miliardi previsti dall’Accordo di Parigi, ma ancora ben al di sotto delle richieste delle nazioni più vulnerabili, che invocano almeno 1.300 miliardi l’anno per affrontare l’emergenza climatica. Questo obiettivo più ambizioso è rimandato a una Roadmap che da Baku dovrebbe condurre alla COP30 di Belém (Brasile).
Nonostante la crescita prevista nei finanziamenti, le modalità restano controverse. Gran parte delle risorse arriveranno da prestiti, anziché da contributi a fondo perduto, aggravando il debito dei Paesi beneficiari. Per le piccole isole e le nazioni meno sviluppate, già in bilico per l’aumento del livello del mare e altre devastazioni climatiche, la promessa di aiuti continua a sembrare un miraggio. Un altro risultato atteso è stato raggiunto sul mercato globale dei crediti di carbonio. Dopo dieci anni di trattative, l’istituzione di questo meccanismo potrebbe offrire una nuova opportunità per il finanziamento della transizione energetica, ma il rischio di greenwashing resta alto. I dettagli operativi, dalla trasparenza al monitoraggio, saranno cruciali per determinarne l’efficacia. La conferenza, tuttavia, ha messo in evidenza i limiti profondi del sistema multilaterale. Da un lato, le economie emergenti come la Cina si rifiutano di assumere obblighi vincolanti; dall’altro, i petro-Stati come l’Arabia Saudita ostacolano ogni passo deciso verso l’abbandono dei combustibili fossili. Il risultato è un testo che, pur ribadendo l’importanza di una transizione energetica, evita di nominare esplicitamente il carbone, il petrolio e il gas. Simon Stiell, segretario esecutivo dell’UN Climate Change, ha definito l’accordo un’assicurazione per l’umanità, ma ha avvertito che “funzionerà solo se i premi saranno pagati per intero e puntualmente”. Il messaggio è chiaro: non c’è tempo per festeggiare. Mentre gli impegni presi a Baku rischiano di naufragare tra retorica e resistenze geopolitiche, la vera sfida sarà tradurre queste promesse in azioni concrete. A Baku si è salvata la forma, ma la sostanza rimane debole. Il mondo guarda ora a Belém, dove la COP30 dovrà dimostrare che il multilateralismo può ancora funzionare di fronte alla crisi climatica.