Confagricoltura piange Francesco Saverio Donazzolo
Si sono svolti mercoledì 20, nella chiesa di Pedavena, i funerali di Francesco Saverio Donazzolo, 86 anni, presidente onorario di Lattebusche e per tanti anni nel Consiglio di Confagricoltura Belluno. Papà di Diego, attuale presidente provinciale dell’organizzazione agricola, lascia un ricordo indelebile per la sua personalità carismatica e combattiva, che lo ha sempre visto in prima linea nelle battaglie degli agricoltori.
“L’agricoltura perde un suo grande difensore, paladino di tante battaglie – sottolinea Lodovico Giustiniani, presidente di Confagricoltura Veneto -. La cooperazione perde un grande condottiero e Confagricoltura una figura di primissimo piano per l’agricoltura di montagna e per la cooperazione. Sotto la sua lunghissima presidenza, Donazzolo ha portato Lattebusche ai vertici del settore lattiero-caseario veneto e nazionale. Non ha mai abbandonato l’azienda agricola di famiglia ed è stato fino all’ultimo un punto di riferimento per gli allevatori e l’universo lattiero-caseario”.
Edoardo Comiotto, ex direttore di Confagricoltura Belluno, lo ha conosciuto e apprezzato all’interno dell’associazione: “Da allevatore conosceva bene i sacrifici degli allevatori. Diceva: “Non possono lavorare 15 ore al giorno e ricevere le briciole”. Su questo si è battuto fino all’ultimo, senza paura di scontrarsi con la burocrazia e con il mondo politico, ministro in testa – ricorda -. Sosteneva che l’agricoltura di montagna non può vivere senza l’allevamento di vacche da latte e, anche quando ha assunto la presidenza di Lattebusche, non ha mai voluto fare la guerra alle piccole latterie; anzi, le ha sempre aiutate. È stato capace di raggiungere fusioni con tante piccole cooperative e di intraprendere sentieri non battuti, come ad esempio quello del latte-gelato di Chioggia. All’interno di Confagricoltura non ha mai voluto assumere cariche perché teneva a tenere ben distinti il suo ruolo di presidente di Lattebusche e quello sindacale. Diceva che la cooperazione doveva essere tenuta lontana da giochi di potere, perché la sua autonomia era sacra. Era un allevatore, prima di tutto, e perciò i soci lo riconoscevano come un loro pari. Personaggio dal carattere forte, era conosciuto in tutta Italia, perfino in Sicilia: tanti ricordano ancora di come tremava il tavolo quando batteva il pugno con le sue manone enormi. Ho un solo rammarico: non aver scritto il libro su di lui, che avevamo concordato insieme. Dovevo andarlo a trovare nel periodo natalizio, per raccogliere i suoi aneddoti e scattare alcune foto. Pochi giorni fa mi ha detto: “Varda che te spete”. Invece se n’è andato prima”.