Canapa e Decreto sicurezza
“Tutti i rappresentanti delle Regioni si sono trovati a riconoscere all’unanimità che il Decreto Sicurezza mette in difficoltà il settore della canapa, che in Italia conta 3.000 aziende con 30.000 addetti, 500 milioni di fatturato e il 90% di export. Chiediamo perciò ufficialmente una revisione dell’articolo 18 del DL, che vieta la coltivazione della canapa anche a bassissimo contenuto di Thc. Questo a tutela delle nostre aziende, certificate e destinatarie negli anni di finanziamenti regionali, statali ed europei. Perché, lo ricordo, la filiera della canapa è sostenuta da una Legge veneta che ne tutela la produzione attraverso specifici progetti, bandi, contributi. E infine è bene dire che il DL non vieta l’importazione del prodotto, consentita dalla norma europea, ma solo la coltivazione nazionale”. E’ quanto ha sostenuto l’assessore all’Agricoltura del Veneto, Federico Caner, che il 29 aprile ha presieduto la Commissione politiche agricole della Conferenza delle Regioni, di cui è coordinatore. Tema centrale era appunto la problematica, sollevata da Confagricoltura e dalle atre associazioni di categoria, della coltivazione della canapa a bassissimo contenuto di Thc, vietata dal 12 aprile dopo l’entrata in vigore del Decreto Sicurezza.
“Nelle prossime ore partirà dalla Commissione Politiche Agricole una lettera al ministro Lollobrigida – annuncia Caner –, cui già avevamo sottoposto alcune proposte di emendamento al DL, chiedendogli di valutare la revisione dell’articolo 18 del testo di legge, per permettere l’utilizzo delle infiorescenze di canapa contenenti cannabidiolo anche per usi diversi dal florovivaismo professionale. Vogliamo trovare assieme al Governo una soluzione che consenta agli agricoltori, certificati e con produzioni di qualità, di tenere viva la filiera, bilanciando la giusta preoccupazione del legislatore per la sicurezza pubblica con gli investimenti fatti nel tempo dalle aziende e con i finanziamenti pubblici concessi alla filiera”.
Ricordiamo il contenuto del decreto. Con l’art. 18 del decreto legge 48/25 sono stati confermati a grandi linee i contenuti del disegno di legge che era in discussione in Parlamento, con il conseguente immediato divieto della maggior parte degli utilizzi della canapa. Una delle poche eccezioni previste è la possibilità di coltivazione agricola per la produzione di semi.
Tra le modifiche introdotte alla legge 242/16 difatti vi è il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati.
Si prevede che, in tali ipotesi, si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del D.P.R. n. 309/1990 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. Il predetto divieto, come già accennato, non ricomprende, la produzione agricola di semi destinati agli usi consentiti dalla legge entro i limiti di contaminazione.
Una impostazione della norma che nonostante l’obiettivo dichiarato sia quello di evitare che l’assunzione di prodotti da infiorescenza della canapa possa favorire – mediante alterazioni dello stato psicofisico – l’insorgere di comportamenti che possono porre a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica o la sicurezza stradale, coinvolge nel divieto la maggior parte delle filiere produttive della canapa, che vanno dall’agroindustria al comparto tessile, dall’alimentare all’edile, dal cosmetico all’energetico, creando peraltro confusione nell’ambito di applicazione del D.P.R. n. 309/1990.
Con tale impostazione sono stati vanificati tutti gli sforzi portati avanti da Confagricoltura per migliorare i contenuti dell’art. 18 del precedente disegno di legge, sforzi che avevano trovato nel Parlamento l’apertura ad un confronto.