Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19
In sede di conversione in legge del “Decreto Liquidità” è stato inserito l’articolo 29-bis che precisa gli obblighi e le responsabilità dei datori di lavoro per la tutela dei lavoratori contro il rischio Covid 19. La disposizione prevede che l’obbligo per il datore di lavoro di tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore richiamato dall’articolo 2087 del Codice Civile, in relazione al rischio Covid-19, è adempiuto mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel Protocollo tra Governo e Parti sociali del 24 aprile 2020 e negli altri protocolli e linee guida adottate dalle Regioni e dalla Conferenza delle 12 Regioni e delle province autonome, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Inoltre, viene precisato che “qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.” Si tratta di una norma adottata dal Governo per cercare di venire incontro alle preoccupazioni manifestate da tutte le rappresentanze del mondo imprenditoriale, compresa Confagricoltura, per le responsabilità che possono conseguire in capo al datore di lavoro a seguito della qualificazione del contagio da COVID-19 come infortunio sul lavoro, ai sensi dell’art.42 del decreto-legge n.18/2020, convertito dalla legge n. 27/2020 (cfr. circolari INAIL n. 13 del 3/4/2020 e n. 22 del 20/5/2020). In sostanza la norma considera assolto l’obbligo di tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore di cui all’art.2087 del codice civile col rispetto del Protocollo tra Governo e Parti sociali del 24 aprile 2020, delle linee-guida adottate in sede di Conferenza Stato Regioni e degli altri eventuali protocolli sottoscritti a livello settoriale. La norma, a nostro avviso, non soddisfa pienamente l’esigenza di escludere la responsabilità civile e penale del datore di lavoro in caso di contagio da COVID-19, trattandosi di un rischio generico e non specifico della prestazione lavorativa. Sarebbe stato preferibile, come peraltro auspicato anche dalla migliore dottrina, prevedere che l’equiparazione all’infortunio del contagio da COVID-19 (che è indubbiamente una malattia e non un trauma) fosse da intendersi solo ai fini del trattamento economico del lavoratore e non delle conseguenti responsabilità civili e penali del datore di lavoro. Si è preferito seguire invece una linea che attenua, ma non esclude, la responsabilità del datore di lavoro, subordinandola al rispetto di una congerie di disposizioni contenute in svariati protocolli e linee guida di fonte diversa e non sempre coordinate tra loro. Si ricorda in proposito che per l’agricoltura, nonostante sia stato raggiunto un accordo sostanziale tra le parti sociali del settore, non si è ancora addivenuti alla stipula di un protocollo definitivo, a causa di una riserva di carattere tecnico-scientifico (sulla quarantena “attiva” dei lavoratori extracomunitari e sul trasporto dei lavoratori) posta dal Governo e, ad oggi (inspiegabilmente) non ancora sciolta. Pertanto, nelle more della definizione del Protocollo agricolo, le imprese del settore primario sono tenute ad applicare le disposizioni del Protocollo generale del 24 aprile 2020 anche al fine di assolvere all’obbligo di tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore previsto dall’art. 2087 del codice civile, limitando in tal modo la propria responsabilità civile e penale in caso di contagio da COVID-19 di un lavoratore. |